La notte

La notte è fatta del rumore di foglie che cadono 

Di un incedere incerto su lenzuola increspate

Del vuoto che segue il passo alla luce di un lampione

Di pensieri che ti osservano e riempiono il buio

.

La notte è fatta del vento che vibra tra i rami

Di mani che ambiscono a diventare aria

Del tepore di un assenza che si culla sincopata

Del gelido tocco di un esercito di dita in marcia 

.

la notte è fatta dai lupi che urlano il proprio nome

Di occhi distanti che si cercano

Tra le costellazioni di un soffitto,

Nel calmo oceano del silenzio,

Nei deserti di rabbia,

Nelle foreste dei rimpianti,

Dove civette cantano

Le parole taciute

La notte è fatta del giorno, luce che le foglie nutre

La notte e fatta del sogno e di foglie ricopre le strade

in fondo

Non ha orizzonti questa stanza, solo un lago, alto su me, che non riflette la mia immagine. Non ha finestre, tra le pietre scorrono solchi che pietra su pietra scivolano su verso le sue sponde. Nel suo riflesso seguo il ciclo lunare alternare le sue stagioni. Si muovono sui contorni imprecisi le ombre, si flettono e sinuose cercano; ma nel buio non riescono ad entrare. Non so dove io sia ma avrei molto da raccontar loro:

Ho contato le monete sepolte tra i miei piedi, gettate come macerie, pesanti più dell’oro. Ne conosco il peso, ogni sua ammaccatura o paurosa imperfezione.

E tra le ombre, lente, crescono radici; come spinte dal tempo disegnano spirali che si riflettono alla luce della luna in un caleidoscopio d’argento sulla liscia pietra. Morbidi capelli tra le tue dita giocano, d’energia pura e magnetica si caricano e si posano ai miei piedi invitandomi a fuggire da questo pozzo, da questa prigione, da questa casa.

In un sospiro, come goccia, cade un lampo dorato che ridipinge le pareti; un tintinnio di moneta. Lo osservo da quel lago, seduto tra i tuoi capelli, nelle sponde di un cuore da cui fuggire via.

Senza titolo

​Le labbra si uniscono 

negli sguardi che si sfiorano.

Tra due mani timide che si cercano .

Nel silenzio di un abbraccio,

un solo battito che ferma il tempo,

e si impressiona l’aria

e nel suolo fissa le radici.

In una risata complice 

che in unico eco risuona.

Nell’elettricità della pelle che non si tocca.

Nell’imbarazzo tiepido e sereno . 

Nella presenza con la distanza.

Tra braccia, spalle e su per il collo,

tra i capelli, dietro le guance,

sulla punta del naso;

nell’angolo sotto il mento.

All’alba e nel tramonto in un saluto 

che non sa di addio

il nostro tempo

​Rallento il Tempo.

Si muovono dentro me

Venature d’olio nell’oceano di sedimenti,

Che scivolano alla presa d’un pugno;

Cuori nella morsa del flusso,

Sangue e vita nella pietra.

 

Controllo il Tempo.

Scivola secco tra le dita,

Si posa tra le onde.

Superficie ruvida sotto i miei passi:

Impronte labili che si inseguono,

Fondamenta d’aria è sabbia.

 

Nutro il tempo.

Liquido e inafferrabile scivola,

Solido tra le radici,

Arido e implacabile se può;

Giudice nella sorte 

Del seme che si poggia sulla terra.

 

Cerco il tempo.

Si posa sull’immobilità 

Nell’illusione dell’infinito si sgretola.

E riempie i polmoni ,

E occlude il respiro,

E mi trova in una costa fatta polvere.

L’attesa di un istante sublimato

Vedo in Te
la luce del giorno,
vedo nei tuoi occhi
il piu’ lontano degli oceani,
il tuo naso segue le correnti,
s’increspa morbido
sulla linea dell’acqua
e potrei nuotarci dentro,
sino alla doccia delle tue labbra,
gentile riparo
prima di lasciarmi affondare
nella innocenza del tuo sorriso,
spietato come la morbidezza
di zigomi luminosi
di guance inafferrabili
di un mento che è pietra angolare
del mio sguardo sui tuoi pensieri,
racchiusi in una prigione di radici
che crescono sul futuro del mio tempo.
La  notte ricama in sipario
i tuoi capelli che si chiudono in sogno;
nel più lontano degli oceani
L’Aurora

Nuvole

sulla fronte nuvole di un cielo azzurro
che se sorridi s’arrende alla pioggia,
abissi di petrolio, giochi di luce dentro,
un guscio tenero e un ovale incerto:
occhi nel buio, occhi in cui mi specchio

occhi che hanno ogni età.

Solchi il silenzio con le labbra ferme,
il tempo invecchia, tiene i sogni dentro,
tuoni le rompono a metà.

Il mio respiro piano s’addormenta,
calore rema, tra le coste ormeggia;
le dita tue si sciolgono e piovono dentro
la nebbia carne mangerà
feroce, tenera, gli occhi di marmo

occhi che hanno ogni età

la luna oltre la siepe

Non sarò mai abbastanza lontano da me stesso.
Non ho visto la Luna salpare, ma avanza lenta sull’orizzonte mentre spiega le vele tra le nubi, spinta dalle stelle. Le onde di un tepore estivo si infrangono sulla sua ruvida superfice accarezzondole delicatamente la memoria. Io tra le fronde degli alberi mi nascondo alla sua vista, come dietro a un faro oltre il quale non mi possa trovare. Sbirciare il suo procedere lento, contare i passi che mi separano da lei, lei che mi sorride quando non posso vederla; è sotto quegli alberi che siamo noi due, incosapevoli attori. Tu da una parte che sorridi, è il tuo ruolo, il tuo copione, e io timidamente conosco il mio: Cerco negli anni negati le parole, le cerco in quelli perduti e in quelli mai avuti; ma col silenzio degli occhi inesorabilmente ti parlo: il silenzio degli anni concessi. Che tu mi stia ascoltando lo so, non so se mi ascolterai.
Ho visto molte volte la luna approdare calma sull’orizzonte, e so che lì, sempre, tornerai
Non sarò mai abbastanza lontano da me stesso, perchè è dove tu mi porterai.

Le arabi

Non ho che ceneri di te;
Le custodisco geloso
tra le pieghe del tempo
che mi resta! Erano piume
ramate che accarezzavano il vento
d’estate, bruciando posavan
la terra tra il cielo e il mare,
come potessi volare
per sempre.

Lambire
con le dita le onde sinuose,
terremoto in cielo l’azzurro
prepotente spaccava la realtà,
genesi di eterea materia,
nembi dei tuoi occhi.
ogni tua molecola è
cemento, sabbia nei polmoni, vermi
dalle viscere, putrida vita
che contorce i suoi fianchi
sgorga il sangue corrode i suoi denti

ti guardo e rido
accarezzando nella memoria
le piume ardenti , aculei
nel guscio del mio vivere

Nell’assenza del bisogno che ho di te
Rinascerei

parole

Ti devo tante parole, tante quante i vuoti di cui ci siamo circondati, giorni che queste parole non possono e non devono restituire. Con alcune di esse ho bisogno di dirti grazie, per avermi fatto conoscere parti di me e fuori di me, talvolta in te ma per lo più te. Con altre misuro la distanza che ci separa, te ne devo molte di queste e vorrei usare meno virgole possibile per correre su di esse come un treno impazzito. Ma di parole ne ho troppe, fiumi sotterranei sui cui galleggiano i nostri piedi, esondano in piene dirompenti dove noi alla deriva ci rifugiamo nelle vette più alte e distanti. Parole e nuvole cuciranno i miei pensieri e in lacrime te li porteranno. Accompagneranno il suono del vento, nel silenzio nasconderò quelle più preziose, che celate dietro il riflesso di pietre rare, troveranno spazio nella tua carne e iridescenti si consumeranno nei tuoi sogni. Le tue orme scandiranno il canto del tempo, due parole che si inseguono nell’infinito, dalla notte scaleranno gli astri e l’aurora le ricorderà. Così È.

dico, dicevo…

Ai margini della pupilla siede
vive nei bordi, ride di neve
zampilla agli angoli, si scioglie, vede
alla realtà si restituisce, lieve

E’ un pensiero fugace di mute note,
si nutre del sogno ma le ombre divora;
come acqua che scorre e un brivido scuote
si torcono a mente membra stracciate